Gli epigoni
Indice
 
1952, la premessa
set. 1952 Il Plotone Speciale 
20 apr. 1953:  Compagnia Sabotatori Paracadutisti 
Iter addestrativo 
Reclutamento  
1° giu. 1957: Reparto Sabotatori Paracadutisti  
Attività tattico-topografiche  
1961: Battaglione Sabotatori Paracadutisti  

1964: evoluzione dei lineamenti d'impiego

Bivalenza operativa
Polivalenza degli Operatori 
1966: impiego in Alto Adige 
1966: Alluvione di Firenze 
9 nov. 1971: tragedia della Meloria  
Cooperazione internazionale  
1975: Antiterrorismo FI-AR  
26 set.1975: IX Repartod'Assalto Paracadutisti "Col Moschin"
  
I Caduti
I Decorati 
 La ricostruzione

Nel 1952 i paracadutisti stavano tenacemente proseguendo, senza far rumore, nel tentativo di ridare vita ad unità capaci di ereditare il loro retaggio di gloria scritto nella storia sui campi di battaglia e di fronteggiare una sentita, oggettiva esigenza operativa. La scuola di Viterbo era stata riattivata con la costituzione del Centro di Paracadutismo che già aveva conquistato l’attributo di "militare", i primi reparti a livello compagnia erano una realtà, mentre fervevano gli studi e le sperimentazioni del nuovo paracadute, che avrebbe preso il nome di CMP 53 (CMP era l’acronimo di Centro Militare di Paracadutismo), poi, con miglioramenti e perfezionamenti, di CMP 55, per il quale ogni aggettivo sarebbe inadeguato a descriverne i meriti.

Tra i Quadri c’erano anche veterani di unità di Arditi, i quali naturalmente anelavano a vedere i loro reparti tornare in vita. Lo stesso anelito, ma con motivazioni operative, doveva albergare nello Stato Maggiore. Sta di fatto che la storia degli Arditi fu ripercorsa passo per passo.

Prima fu costituito un Plotone Speciale (set. 1952) - nell’ambito della 1^ Compagnia Paracadutisti, comandata dal Cap. Ilio Finocchi - con membri scelti tra paracadutisti, che per il solo fatto d’esser tali furono ritenuti in possesso del requisito dell’ardimento richiesto ab ovo per esser selezionati. Il comando fu affidato al Ten. Franco Falcone, coadiuvato dai Sergenti Domenico Foti, Mirto Maddalosso e Alfonso Napoli. L’addestramento era simile a quello dei primi Arditi a Sdricca di Manzano, cui era aggiunto quello paracadutistico, con lanci anche in acqua e quello al nuoto.

Il 20 apr. 1953, l’unità fu trasferita alla Scuola di Fanteria in Cesano di Roma  ed elevata al rango di Compagnia Sabotatori Paracadutisti. Era costituita da due plotoni di paracadutisti di leva e da un plotone di Carabinieri (comandato dal Ten. Bonino, coadiuvato dal Brig. Paoli). Il comando fu affidato al Cap. Edoardo Acconci, veterano pluridecorato di El Alamein, poliglotta, che aveva concluso da poco il corso Rangers negli Stati Uniti. Presto vi fu assegnato il Ten. Giulio Sorrentino, che assunse il comando del secondo plotone. I Quadri furono rinforzati con l’assegnazione del Mar.Magg. Gaetano Buonocore e del Serg.Magg. Cesare Salvucci. L’addestramento, con iniezioni tratte dai Rangers, fu intensificato con ottimi risultati, dovuti anche al fatto d’esser paracadutisti speciali (sabotatori) tra fanti. I quadri furono ulteriormente rinforzati (S.Ten. Aniello Colonna, 1953; S.Ten. Valdimiro Rossi, 1° gen. 1954, poi i Ten. Antonio Vietri ed Enniosilio Zuccari).

I lineamenti d’impiego non erano ufficialmente stabiliti, ma l’orientamento era per un impiego a livello strategico con compiti informativi e di sabotaggio in ogni ambiente naturale ed operativo. Da questi cominciò a prendere forma, nel 1954, l’iter addestrativo del sabotatore, che comprendeva i corsi:

.    Minatore Scelto-Sabotatore paracadutista, presso la Scuola Genio  pionieri della Cecchignola RM;

 .  Alpinismo, presso la Scuola Militare Alpina, nelle sedi di Aosta e di La Thuile;

.    Sci, presso la stessa Scuola;

.     Incursori Navali, presso il COMSUBIN del Varignano SP, per elementi selezionati (i primi furono il Ten. Franco Falcone ed il Serg.Magg. Vincenzo Mollo);

.     Lingue straniere.

Tra un corso e l’altro gli allievi sabotatori imparavano a conoscere e ad impiegare tutti i tipi di armi – dalla pistola al cannone, conseguivano la patente di guida di tutti gli automezzi, delle autoblindo e dei carri armati, apprendevano l’uso di molteplici mezzi radio, si addestravano alle varie tecniche di lotta a corpo a corpo e di eliminazione delle sentinelle, si esercitavano nella navigazione terrestre e nelle varie tecniche di pattuglia, si sottoponevano ad impegnative esercitazioni di sopravvivenza nei vari ambienti naturali. Nacque, crebbe e si consolidò il concetto di "coppia" che era ed è tuttora l’unità elementare inscindibile d’impiego del reparto.

La complessità di tale addestramento ed anche la sua l’onerosità, stavano intanto orientando verso il reclutamento di personale a lunga ferma – per aver tempo al fine del completamento dell’addestramento e per capitalizzare l’onere sostenuto – quali i VAS (Volontari Allievi Specializzati), prima e Allievi Sottufficiali poi. L’inserimento del personale di leva è stato nel tempo sperimentato più volte, giungendo a configurarlo come aiuto specializzato, senza ottenere positivi risultati.

 

Le esercitazioni più importanti e significative, cui il reparto è stato fin dall'inizio chiamato a partecipare, erano le esercitazioni a partiti contrapposti di difesa del territorio, di massima interforze ed a livello Comando Territoriale di Regione, con le quali si intende verificare l'efficienza appunto della difesa del territorio. Il Reparto nel ruolo del partito avversario, interveniva articolato  in pattuglie, di composizione, equipaggiamento ed armamento rapportati al compito. Il realismo era considerato un "deve" dal cui conseguivano importanti ammaestramenti.

    Il profilo del compito assegnato alle singole pattuglie per queste esercitazioni - che ricalca quello possibile operativo - può essere riassunto schematicamente come segue.

Operazione  di guerra non convenzionale (successivamente denominate UMO - Unconventional Military Operation - in ambito NATO) In territorio controllato dall'avversario, di massima articolata nelle seguenti fasi:

    - Isolamento, durante il quale la missione è assegnata, studiata, provata e riprovata, senza possibilità di contatti con l'esterno:

    - Infiltrazione occulta, utilizzando una delle tecniche acquisite (es. aviolancio notturno, sbarco dal mare con propri natanti);

    - avvicinamento all'obiettivo e sua acquisizione;

    - conseguimento dell'obiettivo, inteso come l'insieme di azioni tese a distruggere, rendere inutilizzabile o danneggiare un "obiettivo sensibile" avversario. Obiettivi sensibili sono, ad esempio, gli aeroporti, le opere d'arte della viabilità ordinaria e ferroviaria, i depositi di munizioni o di carburanti, i centri di comunicazione e loro infrastrutture, le basi navali (escluso il materiale galleggiante - le imbarcazioni - che per un accordo più o meno tacito è di pertinenza esclusiva degli Incursori della Marina). Le azioni potevano essere eseguite "a distanza", mediante l'impiego di adeguato armamento, ovvero "a contatto", penetrando occultamente nell'obiettivo e ponendo in sito cariche di esplosivo (non era esclusa l'azione di forza locale e conclusiva, soprattutto per lo sganciamento);

    - ripiegamento (mentre la reazione avversaria si scatenava) e raggiungimento dei punti di esfiltrazione;

    - esfiltrazione, di massima con elicottero o per mezzo di natanti, ovvero attraversando la linea di contatto. Quest'ultima modalità, che comporta movimento occulto per distanze anche notevoli,  è anche l'alternativa al recupero impossibile con quelle precedenti e sfocia spesso in esercitazione di sopravvivenza.

Il 1° giugno 1957 assume la denominazione di Reparto Sabotatori Paracadutisti (principalmente per svincolarsi dai modelli ordinativi) ed è trasferito a Livorno, alle dipendenze del Centro Militare di Paracadutismo, che a sua volta era stato trasferito a Pisa.

Sembrò un passo indietro, quasi un ripensamento all’atipicità del reparto, che ormai si dava per consolidata ed universalmente riconosciuta. Anche l’addestramento allora programmato parve confermarlo: aprire la strada alle altre truppe, con varchi nei campi minati, neutralizzazione di opere di fortificazione, pattuglie da combattimento. Insomma, un po’ come i "tagliafili " della Grande Guerra.

Ma la struttura non fu cambiata, forse e per fortuna, perché le varianti organiche richiedono tempi lunghi. Essa era articolata su tre Sezioni, una "acque interne" riuniva operatori (così nel tempo si erano auto-denominati i combat ready del reparto, avendo da sempre ritenuto che il termine "sabotatori" non rispecchiasse la loro natura ed essenza) qualificati subacquei, in grado di agire nelle acque interne; un’altra Sezione era denominata "montagna" ed era formata dai più abili rocciatori/sciatori del reparto (tutti frequentavano i relativi corsi) destinata ad agire nei terreni più impervi, anche innevati ed infine la Sezione "Industrie" destinata ad operare nel sofisticato ambiente dell’apparato produttivo.

Nel frattempo era iniziata un’attività estiva, denominata "Ricognizioni tattico-topografiche estive" ed il reparto era chiamato sempre ad impersonare il ruolo di aggressore nelle esercitazioni di difesa del territorio, a partiti contrapposti. Entrambe queste attività ponevano il reparto ad operare in presa diretta con lo Stato Maggiore dell’Esercito e con i Comandi delle tre Forze Armate più elevati.

Gli operatori seppero sempre ottenere risultati di spicco, a riprova del loro elevato livello addestrativo, guadagnando per il reparto considerazione e stima

Poi, per motivi di capienza delle infrastrutture dovuti all’espandersi delle unità paracadutiste, il reparto fu trasferito a Pisa nella stessa caserma del CMP.

Nel 1961 fu nuovamente trasferito a Livorno, trasformato in Battaglione Sabotatori Paracadutisti, alle dipendenze della Brigata Paracadutisti. Nel 1963 assunse la fisionomia di Corpo autonomo. Era ordinato su un Plotone Comando, 1^ Compagnia Allievi, 2^ e 3^ Compagnia operativa. La 1^ compagnia si occupava del reclutamento degli allievi, della loro selezione, di impartire l’addestramento di base, quello paracadutistico, armi, esplosivi, mine, topografia, basico di coppia e di nucleo; assicurava, inoltre, l’inquadramento e forniva istruttori per i corsi ambientali (roccia/ghiaccio, sci, sub). Le due compagnie operative svolgevano addestramento avanzato per assicurare lo status di combat ready e svolgevano addestramenti finalizzati all’assolvimento dei compiti assegnati; gli operatori frequentavano corsi di perfezionamento ambientali e quelli di abilitazione e perfezionamento al lancio con la Tecnica della Caduta Libera (TCL, iniziatisi nel novembre 1963)

Dal 1964 addestramento e lineamenti d’impiego registrarono una netta evoluzione.

In quell’anno il Comando di Battaglione inviò due Ufficiali negli Stati Uniti per la frequenza di corsi addestrativi:

il Cap. Franco Angioni al corso "Rangers".Al suo rientro, forte dell’esperienza congiunta di sabotatore e ranger, fu designato alla direzione dei Corsi di Ardimento tenuti alla Scuola di Fanteria di Cesano – dove già operavano Quadri scelti tra i sabotatori (Serg.Magg. Mario del Bianco, che aveva frequentato lo stesso corso negli USA, i Sergenti Giuliano Bellini e Domenico Vallorani). Attività addestrativa che per anni e anni fu un fiore all’occhiello dell’Esercito;

il Cap. Valdimiro Rossi, ai corsi "Ufficiale di Stato Maggiore per le forme particolari di lotta (Guerriglia, Controguerriglia, Guerra Psicologica)" e "Ufficiale delle Forze Speciali (i Berretti Verdi)". L’Ufficiale aveva poi chiesto, com’era nelle sue possibilità, di protrarre l’addestramento al corso HALO (lanci da alta quota con la tecnica della caduta libera), ma non gli fu concesso, nonostante il parere favorevole da parte statunitense.

    Dalla relazione di quest’ultimo risultò la grande similitudine tra reparti Special Forces e reparti sabotatori, dovuta a parametri addestrativi assai simili ma anche una grande differenza: le Special Forces operavano indirettamente, cioè utilizzavano forze locali per eseguire le missioni, mentre i sabotatori operavano direttamente, cioè erano loro stessi che eseguivano le missioni. Ne conseguiva, per i primi la potenziale capacità di impiegare quantità praticamente illimitate di forze locali per conseguire obiettivi di bassa/media difficoltà, al fine di contribuire al successo del piano operativo, per i secondi la potenziale capacità di conseguire per lo stesso fine obiettivi di elevata difficoltà ed importanza, ma numericamente limitati, in proporzione alle forze disponibili, che per causa del loro elevatissimo livello di specializzazione non avrebbero mai potuto essere numerose.

 Nacque così l’idea della bivalenza operativa (azioni dirette/azioni indirette). Furono redatti ed eseguiti programmi addestrativi, concepite e messe in atto esercitazioni di azioni indirette ("Muflone", effettuata in Sardegna, fu la prima – Comandante Ten.Col. Domenico Solinas - di una serie che divenne traguardo addestrativo). Nel frattempo le idee prendevano forma e furono redatti – Comandante Ten.Col. Antonio Vietri - i lineamenti d’impiego del reparto, divenuti noti come "la libretta rossa", che pur non avendo mai ricevuto l’imprimatur dello Stato Maggiore sono stati e sono l’unico riferimento organico esistente. In essa l’unità elementare d’impiego, per la prima volta fu denominata "Distaccamento Operativo" e la struttura di Comando e controllo prese il nome di Base Operativa Sabotatori.

 Parallelamente alla bivalenza operativa si affermò anche l’idea della polivalenza degli operatori, cioè non più specializzazione ambientale (acque interne, montagna, ecc.), ma capacità operativa estesa a tutti gli ambienti naturali. Fu iniziato così un ciclo addestrativo detto di "conversione delle specializzazioni" i cui risultati confermarono la validità dell’intuizione ed elevarono la capacità operativa del reparto (se prima poteva agire con il massimo di un terzo della sua forza nei singoli ambienti naturali/operativi, ora poteva agire con tutta la sua forza in ogni ambiente, secondo necessità).

 

    Nel 1966, i continui attentati in Alto Adige indussero alla formazione di un reparto misto, posto al comando di un Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, del quale facevano parte, oltre ad una quarantina di operatori del Battaglione, elementi delle forze dell’ordine. Il compito generico dell’unità era l’antisabotaggio, ma l’attività più cospicua – e più pericolosa – fu la bonifica da ordigni e trappole esplosive dei rifugi e delle baite prima della stagione turistica. Nel corso di questa attività, che si protrasse fino al 1970, nel famigerato attentato di Cima Vallona persero la vita i sabotatori S.Ten. Mario Di Lecce ed il Serg. Olivo Dordi, mentre il Serg.Magg. Marcello Fagnani rimase gravemente ferito. Un periodo così lungo di impiego, sia pure a rotazione, in compiti non istituzionali fece decadere in modo cospicuo la prontezza operativa specifica e fu necessario impegnarsi severamente per recuperarla.

    Nello stesso 1966, fin dalla stessa sera di quell’infausto 4 novembre dell’alluvione di Firenze e della Valle dell’Arno, l’intera aliquota operativa del battaglione intervenne nella zona di Pontedera e nell’area delle pelli e del cuoio, prestando preziosa opera di salvataggio grazie alla preparazione anfibia e subacquea dei sabotatori ed alla disponibilità di canotti pneumatici, che si rivelarono gli unici mezzi idonei per operazioni di soccorso notturne ed in presenza di precipitazioni. Per almeno tre giorni si prodigarono continuativamente – giorno e notte – senza turni di riposo, senza soste, riuscendo a mettere in salvo innumerevoli persone rimaste isolate nella fiumana. Successivamente parteciparono all’opera di recupero del bestiame e di bonifica. Le popolazioni espressero gratitudine con manifestazioni ed attestati. Le autorità emisero atti d’encomio.

Il 9 nov. 1971, un velivolo C 130 appartenente al Gruppo della RAF che stava svolgendo un ciclo addestrativo in supporto alla Brigata Paracadutisti, s’inabissò nelle acque della Meloria poco dopo il decollo. Non vi furono superstiti. L’idroambulanza dei Sabotatori fu tra i primi mezzi navali a giungere sul posto della tragedia nella speranza di trovare superstiti. Successivamente i sabotatori parteciparono alle operazioni subacquee di ricerca e recupero delle salme che furono segnate da un incedente mortale nel quale perse la vita il sabotatore Serg.Magg. Giannino Caria.
 Nel frattempo i concetti di bivalenza operativa e di polivalenza degli operatori stavano progressivamente affermandosi e negli anni 1972-74, dovevano trovare significativa conferma, quando il Ten.Col. Valdimiro Rossi, divenuto Comandante dell’unità, sfruttando un’antica amicizia con un Ufficiale statunitense all’epoca Addetto Militare a Roma, riuscì ad organizzare un’esercitazione a partiti contrapposti, internazionale ed interforze con un Gruppo di Special Forces USA, che si ripeté poi con frequenza annuale. L’esercitazione, denominata "Altanea", continuativa di 12 giorni, fu un’esperienza esaltante per tutti i partecipanti: si era creata un’unità integrata, dove la nazionalità aveva ruolo molto secondario; nel Comando come nelle unità d’impiego v’erano ufficiali e Sottufficiali statunitensi agli ordini di italiani e viceversa e tutti operavano con le stesse procedure con il massimo realismo. Naturalmente da parte italiana si misero in campo entrambe le azioni, dirette ed indirette, senza limitazioni di specializzazione settoriale, suscitando estremo interesse negli alleati. Quando, l’anno successivo, fu organizzata un’altra esercitazione dello stesso tipo, risultò che anche gli statunitensi erano divenuti bivalenti e potevano eseguire indifferentemente sia le azioni dirette sia quelle indirette.

 In questo stesso periodo:

ebbe grande sviluppo la Base a Mare, poi denominata Base Addestramento Incursori), dove fu ricavata una darsena per il ricovero dei natanti del Battaglione e potenziata la cala sub con autorespiratori a ciclo aperto e chiuso, oltre che di camera iperbarica,

furono realizzate infrastrutture per ospitare una base operativa, poi utilizzate anche per le esercitazioni del tipo "Altanea" e "Muflone";

furono rinnovati i natanti e potenziata la loro motorizzazione;

fu avviata l’acquisizione di materiali di equipaggiamento "specializzati", vale a dire idonei allo straordinario impiego cui erano destinati, tagliando definitivamente con i precedenti che videro, ad esempio, i primi sabotatori affrontare roccia e ghiaccio con gli scarponi da lancio a punta quadrata e calzini di cotone;

fu condotta ricerca e sperimentazione di un tipo di paracadute a profilo alare da adottare in servizio, che portò all’acquisizione dell’MT-1 della Paraflite e delle attrezzature d’ossigeno necessarie per il lancio da alta quota (l’Esercito Italiano - i sabotatori - fu il primo nel mondo a adottare in servizio un paracadute a profilo alare);

fu teorizzata la "infiltrazione sotto vela" ed iniziata la relativa sperimentazione, ora realtà operativa;

fu proposta ed accettata l’istituzione della specializzazione di "sabotatore", poi convertita in "incursore", con relativo distintivo di specializzazione e corresponsione della indennità di rischio;

fu approntato uno studio-progetto di dettaglio per elevare il livello organico, con accentuazione dell’autonomia-isolamento e collocazione gerarchica in armonia col potenziale operativo.

    Nel 1975, per opporsi ai ripetuti atti terrorismo di cui era oggetto la tratta ferroviaria Bologna – Arezzo, furono costituiti due Gruppi Tattici, per la sorveglianza ed il presidio     h24 dei possibili obiettivi sulla tratta stessa. Uno costituito praticamente da un btg. organico di Alpini, cui fu affidato il settore Bologna – Firenze; l’altro Interforze, con compagnie delle tre Forze Armate, al comando di Ufficiale che già aveva comandato i Sabotatori, coadiuvato da Quadri tratti in buona parte dagli stessi Sabotatori, cui fu affidato il settore Firenze – Arezzo.

    Gli atti di terrorismo cessarono immediatamente, tanto che, trascorso un congruo lasso di tempo, l’esigenze fu dichiarata decaduta ed i reparti rientrarono alla proprie sedi. Dopo qualche tempo fu però necessario riattivare il dispositivo.

    Il 26 set. 1975, nel quadro di un’ampia ristrutturazione dell’Esercito, che si proponeva tra l’altro di rinverdire le tradizioni dei reparti, il Battaglione fu denominato IX Reparto d’Assalto Paracadutisti "Col Moschin", dando così forma esplicita alla nobile ascendenza.

    Contemporaneamente operatore e specializzazione assunsero il nome di "Incursore", l’Ardito dell’era dello spazio, omologo dell’Ardito di Marina, l’Incursore navale, e di tutti i componenti delle forze speciali del mondo.

 
 
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